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Birdman
Alejandro González Iñárritu


http://www.milenio.com/hey/cine/Birdman-Michael_Keaton-Inarritu_MILIMA20141019_0338_31.jpgDue premi ai Golden Globes (miglior sceneggiatura e, per Michael Keaton, miglior attore in un film commedia), premi in altri festival e riconoscimenti importanti da associazioni e sindacati vari, nove candidature agli Oscar: li merita tanti riconoscimenti Birdman, film del regista messicano Alejandro González Iñárritu uscito questa settimana nelle sale italiane? Beh, si, a nostro parere sì, ed elencare le categorie per cui il film concorre agli Oscar non è pedanteria, ma fa capire abbastanza bene che cosa aspettarsi quando si entra in sala: miglior film, migliore regia, miglior attore protagonista (Michael Keaton), miglior attore non protagonista (Edward Norton), miglior attrice non protagonista (Emma Stone, ma, anche se non candidata, non scordiamoci di Naomi Watts), migliore sceneggiatura originale, migliore fotografia, miglior sonoro, miglior montaggio sonoro (buona parte della colonna sonora è composta da una nevrotica batteria, che sottolinea le dissonanze emotive del film).

Se la trama sembra uno studio sulla psicopatologia di Broadway e dello show business americano, sostenuto da veri pezzi di bravura di un cast di attori in evidente stato di grazia, nondimeno il film sfugge alla sua struttura evidentemente teatrale grazie all’espediente tecnico del regista, che girando il film come se fosse un unico piano sequenza (in realtà non lo è, come non mancano di far notare i “puristi”) riesce a dargli quel movimento che è lo specifico cinematografico (capita spesso di chiedersi perché si è voluto fare un film da un soggetto la cui dimensione corretta sarebbe il palcoscenico, come ad esempio il pur bello “Carnage” di Polanski).

Il film è un incontro di personaggi e storie che non perde mai intensità, riuscendo a mantenere un equilibrio emotivo, anche correndo il rischio di voler strafare. Sotto al virtuosismo tecnico e attoriale Iñárritu non rinuncia alle sue pretese filosofiche (ricordiamoci “Babel” e “21 grammi”, sue prove precedenti). E le domande che si pone non sono banali: se la questione che aleggia in tutto il film è ben rappresentata dal titolo del pezzo teatrale il cui allestimento è l’origine delle turbe pischiche dei personaggi e dei loro ego ( “Di cosa parliamo quando parliamo dì amore?”, titolo della raccolta di racconti di Raymond Carver del 1981, già spunto di “America oggi” di Altman), le risposte forse Iñárritu le dissemina nel film. In uno dei promemoria attaccati allo specchio del camerino del protagonista, che dice “una cosa è una cosa, non quel che si dice di una cosa”. E nel rendere il protagonista, pur nelle sue piccolezze e meschinità, capace di volare, anche una volta dismessi gli ingombranti panni del supereroe di serie B “Birdman”.