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Il Commissario Pepe
Ettore Scola


Ettore Scola nel 1969 con "Il commissario Pepe" fonde la commedia di costume (inevitabile il richiamo, anche per la comune ambientazione nella provincia veneta, con quel capolavoro di Pietro Germi uscito nel 1966 che è "Signore e Signori") con l'emergente genere del poliziesco (o meglio: poliziottesco). Qui però abbiamo un commissario serio, colto e di mentalità aperta che riceve da un magistrato (a cui arrivano in continuazione lettere anonime di denuncia) l’incarico di indagare su un caso di (come si diceva allora) "buoncostume": un giro di prostituzione che coinvolge anche minorenni. Dedito come sempre al dovere indaga con tenacia immergendosi in un mondo nascosto dal perbenismo e dal bigottismo provinciale in cui il marcio non risparmia nessuno, le classi basse e la borghesia altolocata: la non più giovane ex estetista che si trastulla con gli studenti che ospita, il piccolo albergo che affitta le camere per gli incontri a pagamento, il rinomato medico che va a ragazzini, il preside del liceo che molesta gli studenti, la figlia del prefetto che si prostituisce per trasgredire e per noia oltre che per mantenere il suo amante, le nobildonne che organizzano orge in cui ragazzi e ragazze vengono vendute al miglior offerente, rampolli di industriali e nobili che ammazzano la noia con prostitute minorenni, la madre superiora che seduce e sevizia le suore novizie, In questo affondare nel degrado morale della ricca provincia che si trova tutte le domeniche a messa scoprirà che anche la sua amante non è estranea a questo mondo. Più discretamente va ogni tanto a Milano a fare fotografie pornografiche. Quando presenta il rapporto di quanto scoperto, riceve dai superiori il “sentito" consiglio di cancellare tutto ciò che riguarda le persone altolocate o che hanno a fare con il potere politico, industriale e religioso, limitandosi ad arrestare i pesci piccoli. Profondamente disgustato, non gli rimarrà che arrendersi, mettere tutto in un cassetto e chiedere il trasferimento, rassegnandosi alla vittoria dell'ipocrisia sulla giustizia. Pur usando talvolta toni sul grottesco e sfruttando inserti onirici del commissario per psicologizzare il racconto, nel film riverbera ancora la lezione del cinema neorealistico e dell'impegno civile, tratteggiando uno spaccato del perbenismo cattolico e dell'ipocrisia del potere democristiano in un mondo che sta cambiando, una provincia sonnacchiosa in cui contano le apparenze e che è appena sfiorata dall'arrivo della contestazione e dalla rivoluzione sessuale.
Una delle migliori interpretazioni di Ugo Tognazzi, accanto al quale non possiamo trascurare Giuseppe Maffioli (di professione ristoratore) nei panni dell'invalido di guerra "Parigi" che sa i fatti di tutti e imperversa per la città sulla sua motoretta a insultare la "gente perbene" e a scoprire gli altarini, preferendo il disprezzo alla compassione, e che si rivela il più umano tra le ipocrisie dei potenti, uomo tristemente solo e marginalizzato che sfoga la sua rabbia. Il film è tratto dal libro omonimo del veneziano Ugo Facco De Lagarda che ha collaborato alla sceneggiatura del film assieme a Scola stesso e Maccari