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Io capitano
Matteo Garrone


Basandosi su una storia vera (se volete qui c'è una intervista a Fofana Amara, il reale quindicenne guineano protagonista dell'odissea che lo ha portato a guidare un barcone di migranti fino a Pantelleria https://www.linkiesta.it/2023/09/io-capitano-fofana-amara-lampedusa-film-garrone-carcere/, giusto per capire come è andata dopo il suo arrivo in Italia: ) Matteo Garrone sceglie per raccontare l'orribile odissea dell'emigrazione il registro del racconto di "formazione" di due giovani senegalesi che partono spinti non (come spesso accade) dalla fame e dalle guerre patite nei paesi di origine, ma semplicemente dal desiderio di realizzare i propri sogni di ragazzi. La dimensione onirica che spesso irrompe, così come le riprese da "cartolina" di un viaggio attraverso il deserto in cui la sofferenza e la morte sono contrappunti di un paesaggio e di notti sfavillanti e crudeli ben si adattano ad una fiaba terribile di ragazzi che perderanno il loro approccio magico al mondo per finire nell'inferno dei trafficanti, della fame, della schiavitù e della tortura. Potrebbe sembrare una edulcorazione eccessiva di una realtà tragica, ma cosa si potrebbe aggiungere all'orrore che tutti abbiamo visto nelle foto dei naufragi e dei corpi dei migranti e dei bambini sulle spiagge di Cutro (solo per citare un caso)? La forza del film di Garrone sta invece nella sua capacità di rifuggire dal didascalismo e dalla esibizione diretta della tragedia per creare indignazione, senza far perdere forza al coinvolgimento emotivo in una terribile discesa agli inferi in cui nella disperazione attenuata solo dai momenti di solidarietà tra disperati non si cancella mai l'insopprimibile bisogno di futuro che spinge all'inferno e spesso alla morte. E che restituisce con potenza la realtà delle persone che stanno dietro ai numeri del fenomeno migratorio e delle sue tragedie.