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Peggio di un bastardo

Charles Mingus | BaldiniCastoldiDalai

Charles Mingus, fra tutti i jazzisti, fu il più feroce, il più duro, il più irascibile e anche il più coerente perché, come scriveva Geoff Dyer nel suo ritratto in Natura morta con custodia di sax, "non sapeva perché fosse fatto a quel modo, ma sapeva che doveva essere così e non altrimenti". Com'era lo racconta in prima persona nella sua autobiografia, Peggio di un bastardo (già edita tempo fa da Marcos Y Marcos, ora ripubblicata in una ben più lussuosa versione) dove si concede generosamente, e senza mediazioni, a proposito della musica (la sua vita, in un certo senso: "La mia musica dimostra la volontà della mia anima di vivere oltre la tomba del mio sperma, è la mia metatesi, la nuova sede della mia anima eterna. Amati e amanti, unione, amore. Concepimento, uno più uno fa due fa quattro, fa otto, fa sedici, fa trentadue, fa te"), sulla politica ("È ora di sapere cosa fanno i nostri leader che ci portano a morire per i loro vizi, le loro evasioni") sui rapporti tra uomini e donne, tra bianchi e neri e su tutte le contraddizioni e le controversie e le follie che l'hanno visto protagonista. Aggiungendogli Tonight At Noon scritto dalla vedova, Sue Mingus (sempre BaldiniCastoldiDalai) si ha una sorta di vademecum in presa diretta di un'epopea intensa e drammatica che ebbe la musica (il blues, il jazz) al centro di ogni mossa.

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