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Hud Il Selvaggio

Larry McMurtry | Mattioli 1885

Solo un grande scrittore, un narratore con la sensibilità e il gusto per le immagini, per i dialoghi e per l'ambiente, uno storyteller che è sempre molto vicino ai suoi personaggi, come se fossero vivi, come se fossero reali, poteva immaginarsi la vita in un ranch del Panhandle, il Texas più profondo, come un sistema solare. Sostituendo i pianeti con gli uomini e le donne che ruotano attorno ad un sole effimero chiamato di volta in volta felicità, prosperità, amore, si avrà lo scenario di Hud Il Selvaggio, romanzo d'esordio di Larry McMurtry (che è proprio il padre di James McMurtry) datato 1961 e che giunge finalmente alla traduzione italiana (a breve distanza da L'ultimo spettacolo, da cui Peter Bogdanovich trasse uno dei suoi film migliori). La trama è un intreccio di passioni, iniziazioni, deviazioni che Larry McMurtry annoda con un gusto certosino, quasi macchiavellico, ma che poi snocciola con una scrittura florida, ritmata, piena di musica (Hank Williams su tutti), di odori, di sapori e di tutto ciò che Lonnie, il protagonista, riesce a vedere. Comprese ovviamente le malefatte di Hud, un ribelle fuori posto e il crepuscolo del nonno, il proprietario del ranch, che se ne va con una frase lapidaria: "Le cose non vanno come dovrebbero, ecco tutto. C'è tanta di quella merda in questo mondo che uno prima o poi ci finisce in mezzo per forza, che faccia attenzione o meno". Un grande romanzo.

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