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Jukebox della libertà

Matteo Fratti | Selene Edizioni

Nel titolo sono racchiuse tutte le ragioni per restare affascinati dai suoni (e dai rumori, come giustamente indica il sottottitolo), ma soprattutto dalle parole della Beat Generation. È la libertà al centro del discorso, non se ne può fare a meno: quella cercata dal primo istante nelle espressioni di ogni singolo protagonista di questa avventura. Poi arriva il jukebox, indispensabile colonna sonora di una rivoluzione a suon di musica, un intreccio indissolubile con le parole colte lungo la strada, quella in principio intrapresa da Jack Kerouac. È lui inevitabilemente una delle figure centrali e per nulla di contorno si muovevano i suoi amici di sempre: Allen Ginsberg, William Burroughs e poi Laurence Ferlinghetti, Gregory Corso e naturalmente Neil Cassady. La spinta la davano i dischi di Charlie Parker, Lester Young o John Coltrane, il jazz era il sinonimo di libertà, il rock'n'roll sarebbe arrivato appena dopo e seguendo un filo rosso avrebbe preso il posto che era stato del jazz nella maniera più naturale. Matteo Fratti assolve il compito di stimolare la ricerca, di lanciare degli imput tracciando un percorso con mille diramazioni: dai fumosi jazz club della New York del dopoguerra si viaggia nel tempo, trovando i protagonisti fra le strade di San Francisco, all'apice dell'esplosione psichedelica, in esilio a Parigi e Tangeri, nella grigia Denver, a Londra e infine ancora a New York, in piena esplosione punk.

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