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Le rose della colpa

Steve Earle | Meridiano Zero

Anche i poeti, come aveva già detto un profetico Bruce Springsteen in Jungleland, quaggiù non scrivono più nulla e se stanno in disparte a guardare gli eventi. Quaggiù è inteso nei bassifondi, nelle strade, negli angoli oscuri delle città che Steve Earle invece ha avuto il coraggio di esplorare prima con le sue canzoni e poi con le short stories di Le rose della colpa. Molti racconti subiscono i riflessi dell'autobiografia di Steve Earle dei suoi burrascosi trascorsi ai margini della tossicodipendenza o nei meandri dello show business o, ancora, della sua battaglia contro la pena di morte. L'attenzione di Steve Earle è sempre rivolta ad un'umanità precaria e dolente. A partire dalle primissime righe della raccolta, dove Steve Earle cita, in rapida successione, Raymond Chandler, Chet Baker e Tom Waits, è chiaro che inoltrarsi nelle Rose della colpa vorrà dire finire sulla strada. Capiterà di affrontare il deserto e toccare con mano quanto bruci il border, la frontiera tra U.S.A. e Messico, tra Nord e Sud, dove si combatte una guerriglia quotidiana tra ricchi e poveri. Un'altra guerra, quella del Vietnam, aleggia tra le righe con il sapore amaro e malinconico di una storia che nessuno vuol più sentire. La sconfitta fa paura, specie se si credono ancora funzionali le illusioni americane, ma Steve Earle non si nasconde e la racconta nei suoi dettagli più intimi.

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