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Charles Bukowski | minimum fax

 
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È tutto vero quello che scrive Cristian Raimo nella (bella) introduzione a questa raccolta di poesie. Rileggere queste poesie serve a rimettere a fuoco un lavoro sulle parole, sul ritmo, sulle immagini che è filtrato lentamente, ma senza sosta, in quell'immaginario culturale che, dal blues in poi, cerca una sua definizione lontano dall'università, dall'ufficialità e dall'accademia. Il Buk in questo è stato un instancabile pioniere e qui si trovano piccole fotografie in bianco e nero tradotte in versi ("Ognuno ha a sua disposizione solo un tot/di serate/e ogni serata sprecata è/una grave violazione/al corso naturale/dell'unica vita/che possiedi;/e oltre tutto ti lascia un retrogusto/che in genere dura due o tre giorni/a seconda di chi/passa a trovarti"), l'amore vero e disinteressato per la poesia e la letteratura ("i grandi libri/sono ciò/di cui abbiamo bisogno" e molte battute ("C'è/un sacco di tempo/per mangiare/bere/e/aspettare/la morte/come del resto/fanno/tutti quanti") che potrebbero star bene in teatro come in una canzone. A proposito, la prova del nove per vedere quanto il linguaggio del Buk sia ormai di dominio pubblico, basta ascoltare (e leggere) Reno una canzone di Devils & Dust, l'ultimo album di Bruce Springsteen. A parte il tema e il tono generale, è proprio il finale beffardo a portare il marchio di Bukowksi. Questione di stile.

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