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Taboo Tunes

Peter Blecha | Arcana

Nella doverosa premessa, Peter Blecha sostiene che la censura, "l'atto prepotente con cui le forze politiche e/o sociali" nella sua definizione, rendono inaccessibile la conoscenza è una storia vecchia che risale ai tempi dei tempi. Sarà, ma è altrettanto vero che si tratta di un argomento che ha infinite capacità di rinnovamento e che purtroppo è sempre attuale. Se la censura è sempre particolarmente pericolosa, nell'ambito scandagliato da Taboo Tunes, ovvero la musica popolare, è ancora più odiosa perché va a colpire un importante valvola di sfogo delle tensioni individuali e sociali, nonché uno strumento, per sua stessa definizione, a disposizione di tutti. Taboo Tunes, con una piccola e pertinente appendice dedicata esclusivamente all'Italia, racconta la storia di censure e autocensure, grandi e piccole, che hanno solcato cinquant'anni di storia del rock'n'roll e lo fa senza scomodare argomenti sociologici, filosofici o antropologici, ma semplicemente descrivendo quando, per dirla con Kris Novoselic, "politici complici, capi religiosi, autorità morali, tutti rivelano il loro vero volto quando l'allarmente comincia a suonare". Allora i bersagli sono relativi perché la censura colpisce Frank Zappa e i Jane's Addiction, i bluesmen e i rappers, bianchi e neri, senza distinzione. Basta essere scomodi o appena sopra le righe o, più spesso, è sufficiente non essere allineati e inquadrati, ma questa è anche cronaca quotidiana e Taboo Tunes oltre ad essere un bel libro è anche un atto di resistenza, molto documentato e molto civile.

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