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Altman Racconta Altman

David Thompson | Kowalski

Nessuno, come Robert Altman, ha visto il cinema, o l'arte tout court, come un luogo di confronto, un'arena dove deve prendere forma un linguaggio corale, una storia costruita da tanti, infiniti frammenti perché, come diceva lui stesso, "la storia è costituita dai particolari che si scelgono, e nessuno è più importante degli altri, anche se alcuni vale la pena di raccontarli più di altri". Prodigo di particolari, molto dettagliato nelle appendici dedicate alla cronologia della sua vita e naturalmente alla sua nutrita filmografia, il libro racconta il cinema di Altman con le sue parole visto che David Thompson si è premurato di scegliere un profilo molto discreto, riconoscendo evidentemente l'altrui genio. Ne esce un ritratto rigoroso e molto fedele, come non poteva essere diversamente, con Altman che confessa, tra le righe, di fare film come si fanno castelli di sabbia perché ciò che è più importante "è l’atto di fare". Anche perché diceva: "Personalmente non conosco liete fini. Ci sono finali ambivalenti, ma per me si tratta comunque solo di un punto d’arresto, non di una vera fine. La vita delle persone continua". Passano i titoli di coda, l’ultima canzone della colonna sonora finisce, il castello di sabbia è inghiottito dalle onde e quello che resta è il ricordo di uno sguardo molto lucido che sapeva tenere tutti i pezzi insieme.

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