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Bowling for Columbine

Michael Moore | Cecchi Gori

E’ evidente che può sembrare fuori da ogni logica trovarsi un fucile in omaggio per aver aperto un conto corrente, ma le scene iniziali del film di Michael Moore non lasciano molti margini di dubbio. In un paese, gli Stati Uniti d’America, in cui il possesso delle armi è garantito per costituzione, l’esagerazione che apre Bowling a Colombine non è (purtroppo) un’eccezione. Anche se Michael Moore fa dell’iperbole e delle immagini sparate a raffica la cifra del suo cinema, non senza una sana vocazione provocatoria, la realtà che racconta è oggettivamente drammatica. Non tanto, o meglio, non solo per la vicenda da cui trae il titolo (due ragazzi entrarono nella loro scuola di Columbine armati fino a denti e fecero una strage) quando per il suo continuo e reiterato analizzare il rapporto tra l’uso e il possesso delle armi e la necessità di una sicurezza pubblica e privata. La domanda che è alla base del film (è vero che più armi vuol dire più sicurezza?) è solo un punto di partenza perché poi Michael Moore lascia allo spettarore il compito di verificare, di dubitare, di credere o di non credere a quello che sta vedendo. Lui si limita, non senza una certa abilità documentaristica, a sottolineare certi aspetti e alcune dolorose coincidenze, come il fatto che Columbine, oltre ad essere nota per la strage nella sua scuola, è anche la sede della più grossa azienda bellica americana. Fa pensare.

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