CULTURA E TEMPO LIBERO

AREA LIBRI | ARCHIVIO

Sotto la pelle
Michel Faber (Feltrinelli)


Nel 1954 Fredric Brown pubblicò uno dei racconti di fantascienza più famosi di sempre (“Sentinella”) che con una brevità fulminante spiazzava il lettore utilizzando la “inversione dei punti di vista” che diventerà uno dei meccanismi narrativi più usati nella science fiction successiva: il soldato di cui si narra la grama vita di sentinella costretto a combattere nel fango e nell’umido di un pianeta lontanissimo da casa contro mostri crudeli dalle sembianze ripugnanti si rivela essere un alieno ricoperto di squame e con molte braccia (zampe?) e gli esseri orripilanti che uccide siamo noi umani (qui trovate il testo completo).

La stessa inversione di prospettiva è alla base di questo “racconto lungo” di Michel Faber (nato nei Paesi Bassi, vissuto per lungo tempo in Australia dove i suoi genitori si trasferirono quando aveva 7 anni e attualmente residente in Scozia), più noto per il successivo “Il petalo cremisi e il bianco”. La protagonista è una giovane donna che scorrazza per le strade (appunto) della Scozia alla ricerca di autostoppisti muscolosi e possibilmente ai margini della società da sedare e da portare in una misteriosa fattoria dove vengono messi all’ingrasso per poi essere macellati e caricati sulle navi (spaziali) di una “grande industria” alimentare extra-terrestre per essere serviti come cibo esclusivo alle classi più agiate del suo pianeta originario.

La ragazza si rivela via via (e questo meccanismo di lenta scoperta di dettagli è il congegno narrativo che riesce a tenere il lettore inchiodato) essere un'aliena modificata chirurgicamente per assumere sembianze “umane” (per meglio dire, “ terrestri”, visto che gli alieni pensano di essere loro gli umani, mentre i terrestri sono “vodsel”, bestiame da macello) e che ha accettato questo lavoro ingrato per sfuggire a più tristi destini riservati a chi sta negli strati più bassi della piramide sociale interplanetaria.

L’impianto tra il fantascientifico e l’horror permette di sviluppare considerazioni sulla nostra vita di uomini e donne, sui nostri rapporti sociali e sulle gerarchie esistenziali grazie alla “inumanità” del suo sguardo alieno sul nostro mondo. E ovviamente lo sviluppo narrativo che gioca fra le similitudini e gli scarti nei valori e nei sentimenti (concetti come l’amore, la solitudine, la pietà, l’idealismo) si presta ad alcune interessanti visioni che talvolta suppliscono alcune asperità (e qualche caduta) narrativa. Due mondi estranei ma simili che trovano il loro punto di contatto probabilmente nella meraviglia ammirata che provoca il paesaggio costiero scozzese e lo spettacolo struggente delle nuvole che si accumulano per la inevitabili pioggie. E (anche se non è il centro del libro) uno spiazzante gioco sul rapporto cibo/divoratore che qualche dubbio insinua in noi carnivori.

Da questo libro, con la regia di Jonathan Glazer e con protagonista Scarlett Johannson, è stato tratto un film presentato a Venezia nel Settembre dell’anno scorso (con qualche “buuu” in sala dopo la proiezione) che dovrebbe uscire tra poco nelle sale italiane.