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Arrival
Denis Villeneuve (Warner Bros.)


Le vecchie regole hanno sempre una loro validità: le eccessive aspettattive rovinano allo spettatore il film discreto.. Acclamato dalla critica e da buona parte del pubblico come film di fantascienza “colta” ed “esistenziale”, l’opera di Villeneuve parte da premesse filosofico-scientifiche iinteressanti: come ci si può confrontare con l’ Alieno diverso (ma non troppo diverso verrebbe da dire) da noi e trovare un codice/linguaggio con cui comunicare? Come stabilire un terreno comune con esseri che hanno un sistema percettivo e uno sviluppo intellettuale diversi dal nostro e cercare di capirne i piani e le intenzioni? Questo il compito affidato ad una linguista (Amy Adams) e ad un fisico teorico (che però recita una parte inspiegabilmente secondaria ) e che porterà a inaspettate conseguenze. E la parte migliore del film sta proprio nella comprensione che è l’apertura all’Altro e lo sforzo di cercare di comprenderlo che rappresenta la parte migliore della natura umana e che questo può donarci l’ampliamento e l’approfondimento della nostra percezione del mondo.

Insomma, il materiale c’è tutto e il film è ben costruito (da notare il continuo uso di inquadrature “innaturali” per farci entrare in una atmosfera di contatto con “prospettive” diverse). Ma ovviamente il racconto ha le sue esigenze e questo nocciolo “pensante” viene compresso (e soverchiato) nel posticcio plot politico/catastrofista che dovrebbe dare ritmo e suspance al film. La lotta tra l’approccio militare che antepone la paura e la difesa dall’alterità sconosciuta e in quanto tale vista immediatamente come pericolosa (se non conosci/capisci qualcuno eliminalo) rispetto all’ esigenza di entrare in contatto e di stabilire relazioni è ciò che dovrebbe mettere in tensione lo spettatore e fare da portante alla narrazione, ma in realtà fa un po' avvizzire le tematiche interessanti del racconto: che l’acquisizione di un nuovo linguaggio apre nuovi mondi e nuovi approcci che scardinano le nostre categorie e le nostre abitudini, ponendo nuovi e piu’ ampi problemi all’umanità (e in ultima analisi al suo libero arbitrio). Non diremo (per non rovinare la “sorpresa”) in cosa consiste questo ampliamento delle prospettive umane che ci viene regalato dall’apprendere il linguaggio alieno, ma il tutto alla fine risulta depotenziato e a tratti noioso.

Speriamo in meglio alla prossima impresa di Villeneuve, che ha deciso di cimentarsi niente di meno che con il sequel di “Blade Runner”. E a proposito poi di differenze linguistiche e di contesti comunicativi, curioso vedere come nella traduzione italiana il nome che viene assegnato ai due alieni sia Tom e Jerry. Nell’originale americano i due nomi son Abbott e Costello, che in italiano sarebbero “Gianni e Pinotto”. Effettivamente lo scarto linguistico-emozionale c’è anche tra i “dialetti umani”. Pensate a quanto sarebbe ridicolo nelle scene di tensione tra alieni e umani che la linguista si rivolgesse ad un eptapodo chiedendogli “Gianni, ma dove è finito Pinotto? Per quanto un eptapodo non sia niente altro che un polipone….

Regia: Denis Villeneuve

Sceneggiatura: Eric Heissere (basato sul racconto “Story of your life” di Ted Chang)

Fotografia: Bradford Young

Cast: Amy Adams, Jeremy Renner, Forest Whitaker

Produzione: Usa (Warner Bros.) 2016