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Fine pena: ora
di Paolo Giordano liberamente tratto dal libro di Elvio Fassone regia Mauro Avogadro


Capita di sentir raccontare di lunghi rapporti epistolari, amicizie che si rincorrono nel tempo per mezzo di carta, penna, busta e francobollo. Capita e capiterà ancora, anche se i moderni mezzi di comunicazione minacciano questo antico costume. Una storia bislacca come quella raccontata da questo spettacolo è però veramente fuori dal comune.

“Fine pena ora” racconta la vicenda, vera verissima, della relazione epistolare intercorsa tra il signor Elvio Fassone e il signor Salvatore M. (detto Carmelo) durata ventisei anni, fino al decesso del secondo dei due.
Ciò che la rende affatto particolare è che il signor Fassone, che di professione ha fatto il giudice, è responsabile della condanna all’ergastolo (di quegli ergastoli da cui non si esce mai) del signor M. mafioso, ancorché giovane, della peggior specie.

È opportuno premettere che vi sono due diversi tipi di ergastolo. Nel primo (che chiameremo ordinario) dopo 26 anni di detenzione è possibile, se il magistrato di sorveglianza lo ritiene opportuno, accedere ai benefici della legge Gozzini tra cui la semilibertà. Nel secondo caso, che riguarda alcuni specifici reati tra cui l’associazione di stampo mafioso, non è possibile applicare tali benefici quindi in questo caso l’ergastolo (che viene detto ostativo) corrisponde realmente ad un fine pena mai. Vi è una possibilità di passare da un ergastolo ostativo ad un ergastolo ordinario ‘collaborando attivamente con la giustizia’ ossia diventando delatore [il che farebbe rabbrividire financo Beccaria, ma questa è un’altra storia].

Il signor M. delatore non è, ha un’etica ed un rigore (ma anche degli amici ed una famiglia), che lo spingono a non collaborare. Per lui, quindi la sorte pare segnata, come per i 1200 ergastolani in regime di 41bis al momento presenti nelle carceri italiane.

Il signor Fassone e il signor M. nel corso di questi lunghi 26 anni, con una parentesi di quasi silenzio durante i sei in cui M. viene messo in isolamento, costruiscono una profonda e sincera amicizia. Il primo aiuta il secondo negli studi e il secondo aiuta il primo ad uscire da una visione stereotipata e un po’ rigida della realtà. Il loro rapporto è tale e tanto, benché basato essenzialmente su carta, penna, busta e francobollo, che il signor M. verrà eccezionalmente ammesso ai benefici benché non ‘collaborativo’.

A narrare questa vicenda, di cui non sveliamo la fine benché questa non possa costituire una sorpresa per nessuno, c’è un libro “Fine pena: ora” scritto dallo stesso signor Fassone ed edito da Sellerio nel 2015.
Da questo libro Paolo Giordano ha ricavato uno spettacolo teatrale in programmazione in questi giorni al Piccolo Teatro con la regia di Mauro Avogadro.

Due soli attori in scena: il signor Fassone (Sergio Leone) e il signor M. (Paolo Pierobon) si confrontano in un palcoscenico scarno ma efficace (come per altro la vicenda narrata) che trasforma la rarefatta corrispondenza in un dialogo serrato.

Fedele al testo ma capace di aggiungere particolari (durante i sei anni di isolamento dal 1992 al 1998 M. non scrive o quasi: “Caro presidente, le scrivo poco perché non voglio raccontarle che cosa sto passando”) senza tradire lo spirito del libro.

Galilei si avvalse del cannocchiale per dimostrare l’universo eliocentrico e ribaltare la concezione geocentrica della dottrina ecclesiastica, M. lo sapeva perché l’aveva interpretato in uno spettacolo di detenuti. “Il cannocchiale che serve a te non è ancora stato inventato” dice Fassone a M. Purtroppo è vero.
Da vedere.