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Neruda
Pablo Larrain


Pablo Larrain è il regista di punta del cinema cileno contemporaneo ed è molto acclamato dalla critica: sicuramente capace di creare opere complesse e di grande potenza estetica, gioca con generi cinematografici mescolandoli con grande maestria. Ma il rischio del compiacimento intellettualistico è sempre dietro l’angolo e anche questo film non fa eccezione. Larrain Intesse un finto bio-pic (per sua stessa definizione) mettendo in scena “il più grande poeta del Cile” (nonché premio Nobel e figura mitica dell’impegno politico militante), intrecciando la sua vita con la storia della sua persecuzione politica nel primo dopoguerra quando, da senatore del Partito Comunista, dichiarato fuorilegge dal Presidente della Repubblica Cilena (eletto anche con i voti dei comunisti) è costretto alla fuga all’estero e inseguito dalla polizia.

Ma non pensate al ritrattino apologetico: la vicenda di Neruda diventa un crocevia in cui poesia, politica e poliziesco si intrecciano, si rimandano e si intralciano l’un l’altra. E sicuramente la parte migliore del film esce dal gioco contraddittorio di una vita da “borghese dissoluto” frequentatore di postriboli per ricchi e feste debosciate, del poeta sentimentale e vanesio che riesce però ad essere in empatia con gli ultimi del suo popolo e a sentire su di sé le ingiustizie che patiscono con quell’ardore e grandezza che solo la poesia riesce a dare. Tutto in fondo è un gioco del poeta, è realtà e finzione allo stesso tempo, gioco narcisistico per il proprio ego e grande lavoro di messa in forma del sentimento della vita e dell’anima di un popolo.

La stessa persecuzione in fondo è cercata dal poeta, per potersi ergere a vittima e potersi creare dei carnefici da combattere e irridere. Ma oltre a questo il film si perde in giochi intellettualistici sul rapporto vittma-persecutore, sul tentativo disperato degli attori minori della storia (che esistono e trovano il senso della loro esistenza solo in quanto parte del gioco del protagonista) di attingere al loro barlume di significato e di poesia per uscire dal loro status di “personaggi secondari” che alla fine esaurisce le energie dello spettatore e rischia il tedio. Se ci permettete la banalizzazione estrema, questo film nella prima mezz’ora è molto bello, nella seconda mezz’ora è interessante, nella terza non si vede l’ora che finisca.

Regia: Pablo Larrain
Sceneggiatura: Guillermo Calderòn
Fotografia: Sergio Armstrong
Attori: Luis Gnecco, Gael Garcia Bernal, Mercedes Moran, Diego Muňoz
Produzione: Cile, Argentina, Francia, Spagna
Anno: 2016